Il nome scientifico dell’equiseto è Equisetum arvense, ma è conosciutissimo come “coda cavallina”. Questa pianta, come ad esempio la felce, ha sì radici, ma non ha né fiori né semi. Ma allora, come si riproduce? Attraverso spore, disposte in appositi sporangi raggruppati in una specie di pannocchia terminale.
Un’altra caratteristica della coda cavallina è quella di presentare due diversi fusti che si susseguono in due diversi periodi; il primo spunta in primavera: è rossastro, privo di clorofilla, piuttosto corto e munito, nella parte terminale superiore, della spiga con le spore; quando il compito riproduttivo è stato compiuto e le spore si sono riversate nel terreno, questo fusto avvizzisce.
Nel periodo estivo spunta il secondo fusto; questa volta è verde, più alto, diviso in segmenti separati da nodi; a vari livelli, presenta rametti semplici, molto gracili, di color verdolino, anche questi segmentati.
E questo secondo fusto sterile che interessa il campo della fitoterapia, perché è la sola parte della pianta che ha attività terapeutica; viene raccolto nel periodo in cui si trova, dunque in estate, e viene seccato al sole o in forni.
L’equiseto appartiene alla famiglia delle Equisetacee. E una pianta particolarmente ricca di elementi minerali, soprattutto silicio, ma anche calcio e potassio; per questo svolge un ruolo rimineralizzante e diuretico e, cosa importante, di difesa dei tessuti connettivi; viene consigliato come coadiuvante nel riprostino di fratture in alterazioni cartilaginee in cistiti in caso di demineralizzazione e come emostatico.